sabato 29 giugno 2019

The Mighties – "Augustus"

Novità Italiane: The Mighties "Augustus" (We're at fruit records-Sob records, 11 Aprile 2019)

Dopo dieci anni di attività il quintetto rock garage perugino dei Mighties pubblica il primo disco dopo quattro EP.  “Augustus” è stato mixato da Jacopo Gigliotti dei Fast Animals And Slow Kids e spedito per il master negli Stati uniti. Il risultato? Le 11 tracce seguono un discorso molto delicato, immettere dosi di punk poppettaro nel revival del revival, in quel neo-neo-garage che da 15 anni è diventato una nota costante nel pentagramma del rock contemporaneo. Come funziona il meccanismo? I puristi immettono tocchi di Cramps nella lezione dei Fuzztones, e un paio di piccole citazioni dei Cynics e dei Fleshtones, quando va bene; altrimenti, Strokes e White Stripes con la loro protervia commerciale di bassa lega. Gli italiani Mighties stanno a metà del guado in buona compagnia dei loro maestri, i Black Lips. Ciò comporta o genialità o indecisione, come in questo caso. Il disco è pieno di idee e suggestioni, le composizioni denotano effettivi miglioramenti ma la produzione, sebbene migliore degli episodi precedenti, non sfugge al solito clichè italiano post-progressive anni ‘70: la voce davanti agli strumenti, e questo nel rock è suicidio. Il tipico hammond e la chitarra paiono registrati negli anni ’50, il tentativo è quello di cercare l'aroma speziato del passato ma tutta l'architettura non regge. Chinese Drop e Casablanca sono le canzoni che spiccano in questo breve disco, ed è un peccato che in Italia si continui a registrare rock per una metà imitando e per l'altra adattando mezzi insufficienti ai climi altrui. Con le giuste mosse comunque i Mighties potrebbero avere qualcosa da dire in futuro.

Luca Volpe 





lunedì 24 giugno 2019

The Raconteurs - "Help Us Stranger"

The Raconteurs - "Help Us Stranger"  (Third Man Records 21 giugno 2019)

Dopo 11 anni i The Raconteurs tornano con un nuovo album dal titolo “Help Us Stranger” per la Third Man Records, etichetta dello stesso Jack White, la band attiva dal 2006 è al terzo disco, i brani sono tutti prodotti dalla band e registrati negli Third Man Studios di Nashville con la collaborazione di diversi musicisti tra cui spicca l’ormai richiestissimo polistrumentista Dean Fertita (QOTSA).
Le 12 canzoni tra cui una cover, Hey Gyp di Donovan, mostrano un lavoro sontuoso, una miscela esplosiva di rock classico, blues di Nashville sporcato dal garage rock di Detroit, brani che lasciano il segno fin dal primo ascolto, suoni e arrangiamenti studiati e mai lasciati al caso. Non c’è un solo brano da skippare. C’è tutta l’America che conosciamo dal country all’hard rock, gli strumenti ci sono tutti dall’armonica al piano Fender Rhodes, un disco che scava alle radici salvo poi sporcarsi dei suoni eclettici di White, d'altronde la formula dei nostri è collaudata. L’album si apre con “Bored and Razed” come un treno che accelera in corsa, col tipico fraseggio di chitarra a’ la Jack White e il cantato sincopato ormai suo marchio di fabbrica per poi aprirsi sull’inciso alle melodie vocali di Brendan Benson. La successiva “Help Me Stranger”  è una amalgama ben orchestrata di chitarre acustiche ed elettriche, percussioni e voci (registrate una a destra e l’altra a sinistra), qui a far la differenza sono le poche e ben dosate note suonate da Dean Fertita. Il brano, tanto per non dimenticare le origini, si apre con un intro vintage da ballata cowboy degna del miglior Elvis. “Only Child” è una romantica ballad, qui Benson mostra il suo talento nella costruzione di linee vocali melodiche, il tutto reso più moderno dai synthesizers e dagli assoli  poliedrici di Jack White, sul ritornello poi le due voci stanno insieme che è un piacere. Con “Don’t Bother Me” è di nuovo White a prendere il volante fra le mani, accelerando il ritmo in un vortice sfrenato di progressive pause e rincorse su un tappeto sabbathiano.“Shine the light on me” si apre con un coro beatlesiano e guarda caso prosegue con un Honky-Tonk piano di stonesiana memoria, (leggasi Ruby Tuesday). Ancora Beatles in apertura di “Somedays (I Don’t Feel Like Trying)”, brano che sul finale torna in America quasi a dire: “fatevene una ragione le terre del rock&roll sono queste due”. E’ la volta di “Sunday Driver” riffone garage e basso distorto in ingresso e classico bridge psichedelico a metà strada, un must.“Now That You’re Are Gone” è un giro armonico spiritual ma sono gli arrangiamenti e le trovate di modernità a fare la differenza, così come in tutti  i brani del disco ed a renderli attualissimi. Segue “Live A Live” brano tirato in puro Detroit garage rock vedi alla voce Stooges che manco una band di ventenni. “What’s Yours Is Mine” episodio funk-progressive dell’album farcito di chitarre plastiche del solito Jack White. Ma è nella conclusiva “Toughts And Prayers” che i nostri palesano al mondo di essere cresciuti a pane e Zeppelin. Il brano è una immensa ballata country-blues da brividi, ricca di violini e mandolini nella quale la lezione di Jimmy Page e soci è attualizzata e destinata a fare storia al pari di quella fatta dai padrini dell’Hard Blues. Lasciatevi andare e lanciatevi col deltaplano sulle verdi vallate irlandesi ed il viaggio è servito. Un album che dimostra ancora una volta che la storia della musica rock è stata già scritta, ma non per questo non si possa attingere ad essa per attualizzarla e celebrarla, non fosse altro che per farci ancora godere di essa, in fondo è dal passato che si impara, anche se il mondo non lo ha ancora capito e forse non lo capirà mai. Quindi lode ai Raccontatori, narratori di un mondo che non c’è più o forse c’è ancora nei nostri cuori.

Nino Colaianni


lunedì 17 giugno 2019

Roberta and the crossovers - "All the way home"

Novità Italiane: Roberta and the crossovers "All the way home" – autoproduzione (1/3/2019)

Un esordio che fa chiedere perchè un gruppo talentuoso sia costretto ad autoprodursi.Roberta Usardi è una cantante dalla timbrica avvolgente con idee che vuole sviluppare, quindi recluta Andrea Candido alla chitarra, Matteo Saronni alla batteria e Alfonso Aiozzo al basso, per una missione: riportare alla luce la gemma sonora del vasto magma del Crossover storico di fine anni 1980. Ma suonano in Italia e sono passati 20 anni dalle prodezze della scena nazionale, e allora danno dimostrazione fisica delle speranze e della tenacia di migliaia colleghi musicisti rimasti nell'ombra delle sale prova e dell'eterna rincorsa ai concorsi già decisi a tavolino.Suscitano sentimenti contrastanti per l'entusiasmo e l'assenza totale di produzione: in un clima da presa diretta, i Crossovers non sbagliano nulla nell'esecuzione, hanno solo bisogno di uomini sapienti nel registrare e nell'indirizzare, quindi l'ascolto diventa frustrante per le potenzialità che l'industria moderna tralascia. Inizia con Leave all the past behind, che poteva essere un buon brano dei Jane's addiction e continua a corrente alternata fra il bell'ibrido Rock Swing di The mistery that I hold e la triste Waiting room, Funky rock impoverito del brio necessario a involarla; l'omonima è grunge mentre al contrario, Soft, regala sprazzi d'intensità emotiva inusitata nella penisola. New piece of heaven fa la stessa cosa in stile Concrete blonde. Sarò con te è Pop sopraffino per palati raffinati, e alla fine c'è una traccia nascosta dove la cantante dimostra le sue capacità a tutto tondo. La zavorra Grunge non aiuta le composizioni che avrebbero bisogno di suoni più scintillanti, ma il lavoro è ascoltabile perchè mostra ciò che potrebbe essere e non è ancora. L'amalgama dei musicisti non è completo, le canzoni hanno bisogno di viaggiare verso lidi più consistenti, ma il gruppo suscita una simpatia che fa ben sperare.


Luca Volpe




venerdì 14 giugno 2019

Perry Farrell - “Kind Heaven”

Perry Farrell  - “Kind Heaven” (BMG, 7 Giugno 2019)

Perry Farrel, già frontman dei leggendari Jane’s Addiction e creatore dei compianti Porno for Pyros nonché deus ex machina del Lollapalooza music Festival torna con un album solista dal titolo “Kind Heaven”. Sono trascorsi 18 anni dall’ultimo disco da solista e per l’occasione mette su un’orchestra (come lui stesso la definisce) di musicisti ospiti. Si va da Tony Visconti storico produttore di Bowie, al batterista dei Motley Crue Tommy Lee, passando per Taylor Hawkins batterista dei Foo Fighters, Peter DiStefano chitarra dei Porno for Pyros e Dhani Harrison figlio del beatle George. Al primo ascolto emerge fin da subito la smania di strafare che porta il disco sui binari di un modernismo kitsch a cui il nostro ci aveva già abituato in precedenza. Sarà per l’uso eccessivo di campionatori e trucchetti elettronici o per la produzione troppo mainstream o ancora per la costante presenza della vocina fastidiosa della moglie (Etty Lau Farrell novella Yoko Ono che non lo molla un attimo), che l’album non solo non cattura ma altresì respinge. Peccato perché le canzoni ci sono, andavano solo spogliate di quel suono distopico che le caratterizza, svestite di quell’abito barocco, lo stesso abito rappresentato in copertina  in una grafica che tenta di mischiare l’antico col futuro. Red, white and blue Cheerfulness, brano d’apertura, è un rock and roll sempliciotto che non graffia. Segue Pirate Punk Politician primo singolo pubblicato, che dal riff al solo sembra suonato da un Dave Navarro dei poveri. Snakes Have Many Hips è uno swing che manco James Bond in 007. Machine Girl ha un giro armonico catchy su un tappeto di sintetizzatori e chitarre in riverbero. L’indefinibile One, un mix di chitarre funky, ritmi afro e coretti da stadio. Si continua con Where have You Been All My Life anche qui bassi ed elettrobeat da dance club. Con More Than I Could Bear  Farrel torna alla forma canzone e alle melodie a’ la Jane’s Addiction, sicuramente l’episodio più riuscito dell’album. La successiva Spend The Body cantata da Etty Lau Farrell non sfigurerebbe ad un rave party. La conclusiva Let’s Pray For This World con echi beatlesiani è una commovente preghiera della famiglia Farrell con i due figlioletti ai cori. “Kind Heaven” è un disco costruito a tavolino e come spesso accade in lavori siffatti si rischia di tracimare. E’ evidente nei brani che l’ansia di ricercare sonorità originali non ha portato l’effetto sperato, sono lontani i tempi del Farrell ispirato genietto musicale che surfava sull’Ocean Size.

Nino Colaianni


Mammoth weed wizard bastard - "Yn ol i Annwn"

Mammoth weed wizard bastard - "Yn ol i Annwn " (New heavy sounds - marzo 2019) Disastri della critica: stroncato o elogiato, Y...