lunedì 24 giugno 2019

The Raconteurs - "Help Us Stranger"

The Raconteurs - "Help Us Stranger"  (Third Man Records 21 giugno 2019)

Dopo 11 anni i The Raconteurs tornano con un nuovo album dal titolo “Help Us Stranger” per la Third Man Records, etichetta dello stesso Jack White, la band attiva dal 2006 è al terzo disco, i brani sono tutti prodotti dalla band e registrati negli Third Man Studios di Nashville con la collaborazione di diversi musicisti tra cui spicca l’ormai richiestissimo polistrumentista Dean Fertita (QOTSA).
Le 12 canzoni tra cui una cover, Hey Gyp di Donovan, mostrano un lavoro sontuoso, una miscela esplosiva di rock classico, blues di Nashville sporcato dal garage rock di Detroit, brani che lasciano il segno fin dal primo ascolto, suoni e arrangiamenti studiati e mai lasciati al caso. Non c’è un solo brano da skippare. C’è tutta l’America che conosciamo dal country all’hard rock, gli strumenti ci sono tutti dall’armonica al piano Fender Rhodes, un disco che scava alle radici salvo poi sporcarsi dei suoni eclettici di White, d'altronde la formula dei nostri è collaudata. L’album si apre con “Bored and Razed” come un treno che accelera in corsa, col tipico fraseggio di chitarra a’ la Jack White e il cantato sincopato ormai suo marchio di fabbrica per poi aprirsi sull’inciso alle melodie vocali di Brendan Benson. La successiva “Help Me Stranger”  è una amalgama ben orchestrata di chitarre acustiche ed elettriche, percussioni e voci (registrate una a destra e l’altra a sinistra), qui a far la differenza sono le poche e ben dosate note suonate da Dean Fertita. Il brano, tanto per non dimenticare le origini, si apre con un intro vintage da ballata cowboy degna del miglior Elvis. “Only Child” è una romantica ballad, qui Benson mostra il suo talento nella costruzione di linee vocali melodiche, il tutto reso più moderno dai synthesizers e dagli assoli  poliedrici di Jack White, sul ritornello poi le due voci stanno insieme che è un piacere. Con “Don’t Bother Me” è di nuovo White a prendere il volante fra le mani, accelerando il ritmo in un vortice sfrenato di progressive pause e rincorse su un tappeto sabbathiano.“Shine the light on me” si apre con un coro beatlesiano e guarda caso prosegue con un Honky-Tonk piano di stonesiana memoria, (leggasi Ruby Tuesday). Ancora Beatles in apertura di “Somedays (I Don’t Feel Like Trying)”, brano che sul finale torna in America quasi a dire: “fatevene una ragione le terre del rock&roll sono queste due”. E’ la volta di “Sunday Driver” riffone garage e basso distorto in ingresso e classico bridge psichedelico a metà strada, un must.“Now That You’re Are Gone” è un giro armonico spiritual ma sono gli arrangiamenti e le trovate di modernità a fare la differenza, così come in tutti  i brani del disco ed a renderli attualissimi. Segue “Live A Live” brano tirato in puro Detroit garage rock vedi alla voce Stooges che manco una band di ventenni. “What’s Yours Is Mine” episodio funk-progressive dell’album farcito di chitarre plastiche del solito Jack White. Ma è nella conclusiva “Toughts And Prayers” che i nostri palesano al mondo di essere cresciuti a pane e Zeppelin. Il brano è una immensa ballata country-blues da brividi, ricca di violini e mandolini nella quale la lezione di Jimmy Page e soci è attualizzata e destinata a fare storia al pari di quella fatta dai padrini dell’Hard Blues. Lasciatevi andare e lanciatevi col deltaplano sulle verdi vallate irlandesi ed il viaggio è servito. Un album che dimostra ancora una volta che la storia della musica rock è stata già scritta, ma non per questo non si possa attingere ad essa per attualizzarla e celebrarla, non fosse altro che per farci ancora godere di essa, in fondo è dal passato che si impara, anche se il mondo non lo ha ancora capito e forse non lo capirà mai. Quindi lode ai Raccontatori, narratori di un mondo che non c’è più o forse c’è ancora nei nostri cuori.

Nino Colaianni


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