The Raconteurs - "Help Us Stranger" (Third Man Records 21 giugno 2019)
Dopo 11
anni i The Raconteurs tornano con un
nuovo album dal titolo “Help Us
Stranger” per la Third Man
Records, etichetta dello stesso Jack
White, la band attiva dal 2006 è al terzo disco, i brani sono tutti
prodotti dalla band e registrati negli Third Man Studios di Nashville con la
collaborazione di diversi musicisti tra cui spicca l’ormai richiestissimo
polistrumentista Dean Fertita (QOTSA).
Le 12
canzoni tra cui una cover, Hey Gyp di
Donovan, mostrano un lavoro sontuoso,
una miscela esplosiva di rock classico, blues di Nashville sporcato dal garage
rock di Detroit, brani che lasciano il segno fin dal primo ascolto, suoni e
arrangiamenti studiati e mai lasciati al caso. Non c’è un solo brano da
skippare. C’è tutta l’America che conosciamo dal country all’hard rock, gli
strumenti ci sono tutti dall’armonica al piano Fender Rhodes, un disco che
scava alle radici salvo poi sporcarsi dei suoni eclettici di White, d'altronde la formula dei nostri
è collaudata. L’album si
apre con “Bored and Razed” come un treno
che accelera in corsa, col tipico fraseggio di chitarra a’ la
Jack White e il cantato
sincopato ormai suo marchio di fabbrica per poi aprirsi sull’inciso alle
melodie vocali di Brendan Benson. La
successiva “Help Me Stranger” è una amalgama ben orchestrata di chitarre
acustiche ed elettriche, percussioni e voci (registrate una a destra e l’altra
a sinistra), qui a far la differenza sono le poche e ben dosate note suonate da
Dean Fertita. Il brano, tanto per non
dimenticare le origini, si apre con un intro vintage da ballata cowboy degna
del miglior Elvis. “Only Child” è una
romantica ballad, qui Benson mostra
il suo talento nella costruzione di linee vocali melodiche, il tutto reso più
moderno dai synthesizers e dagli assoli poliedrici
di Jack White, sul ritornello poi le
due voci stanno insieme che è un piacere. Con “Don’t Bother Me” è di nuovo White
a prendere il volante fra le mani, accelerando il ritmo in un vortice sfrenato
di progressive pause e rincorse su un tappeto sabbathiano.“Shine the light on me” si apre con un coro beatlesiano e
guarda caso prosegue con un Honky-Tonk piano di stonesiana memoria, (leggasi Ruby Tuesday). Ancora Beatles in apertura di “Somedays (I Don’t Feel Like Trying)”,
brano che sul finale torna in America quasi a dire: “fatevene una ragione le
terre del rock&roll sono queste due”. E’ la volta di “Sunday Driver” riffone garage e basso distorto in ingresso e
classico bridge psichedelico a metà strada, un must.“Now That You’re Are Gone” è un giro armonico spiritual ma sono
gli arrangiamenti e le trovate di modernità a fare la differenza, così come in
tutti i brani del disco ed a renderli
attualissimi. Segue “Live A Live” brano tirato in puro
Detroit garage rock vedi alla voce Stooges che manco una band di ventenni. “What’s Yours Is Mine” episodio
funk-progressive dell’album farcito di chitarre plastiche del solito Jack
White. Ma è nella
conclusiva “Toughts And Prayers” che
i nostri palesano al mondo di essere cresciuti a pane e Zeppelin. Il brano è
una immensa ballata country-blues da brividi, ricca di violini e mandolini nella quale
la lezione di Jimmy Page e soci è
attualizzata e destinata a fare storia al pari di quella fatta dai padrini
dell’Hard Blues. Lasciatevi andare e lanciatevi col deltaplano sulle verdi
vallate irlandesi ed il viaggio è servito. Un album
che dimostra ancora una volta che la storia della musica rock è stata già
scritta, ma non per questo non si possa attingere ad essa per attualizzarla e
celebrarla, non fosse altro che per farci ancora godere di essa, in fondo è dal
passato che si impara, anche se il mondo non lo ha ancora capito e forse non lo
capirà mai. Quindi lode ai Raccontatori,
narratori di un mondo che non c’è più o forse c’è ancora nei nostri cuori.
Nino Colaianni
Finalmente qualcosa di interessante
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