venerdì 1 novembre 2019

Mammoth weed wizard bastard - "Yn ol i Annwn"

Mammoth weed wizard bastard - "Yn ol i Annwn" (New heavy sounds - marzo 2019)

Disastri della critica: stroncato o elogiato, Yn ol i Annwn nessuno l'ha capito.
Involontario trattato sul momento storico dell'industria discografica, come tale andrebbe esaminato, e qui verrà così fatto. I gallesi Mammoth weed wizard bastard non sono solo l'ennesimo gruppo Doom che mischia Sludge e Stoner o fa richiami alla cultura dello sballo; nella loro musica c'è un sincero e incerto tentativo di dire altro con iniezioni di suoni spaziali. E' difficile funzionare quando la crescita nefanda di gruppi vuoti viene sobillata senza vergogna, le idee spremute e copiate senza ritegno, e mode che si seguono ed esauriscono in fuochi fatui alimentati da meccanismi crudeli, tutto per lasciare sulla cima un Pop elettronico bieco e istupidente. Relegato da ciò nei piani bassi, il Doom è un alveare di gruppi clone, e lo Sludge (per i non addetti, fusione di Black Sabbath con l'Hardcore degli anni 1980 e un briciolo di Death) non fa eccezione. Che fa l'industria? I musicisti provano a comporre dei brani, cercano contatto con un'etichetta che propone un contratto di distribuzione con varie clausole. Fine. Il mondo dorato degli anni 1980 è sepolto da un pezzo, con tutte le possibilità monetarie che potevano far conoscere gruppi che oggi non potrebbero emergere. Senza soldi,la produzione di un disco diventa fragile.E un gruppo come fa a comunicare col pubblico se non coi dischi (questi sconosciuti) la cui produzione li esalta? Vi provvedono da sé. E la scusa delle tecnologie e del fai da te come soluzioni, è loffia: per un disco accettabile servono circa 150000 dollari, se un gruppo ne mette assieme 10000 è tanto. Fare dischi è uno spreco inutile senza produzione adeguata, e i nostri sono al quarto. Esordio con suite di 30 minuti, poi i seguenti tutti sopra i 45. Il tutto in 5 anni. Siccome non sono gli Yes o i Grateful dead, è difficile capire come trovino l'ispirazione per tanto materiale se un produttore non li aiuta a scegliere fra le idee. Ma l'industria è diventata un covo di squallidi per far proliferare migliaia di gruppi e tutti i loro “dischi”senza speranza. Ad emergere sono pochi e confinati fuori dalle classifiche che contano, chi guadagna pochi soldi maledetti sono gli studi di registrazione. Quì è al lavoro il mediocre Chris Fieldingcon James Plotkin a lavorare sul master, un classico del Metal da 20 anni (un mestierante a fare il grosso e un nome più famoso per qualche ritocco, per dare un'aura di serietà). In oltre un'ora viene diluita (i brani si potevano limare alla metà) l'idea: Sludge più richiami al Dark dei Cocteau twins; le citazioni degli elettronici tedeschi entrano in questa dinamica. La voce eterea di Jessica Ball (anche al violoncello e tastiere) cerca di congiungersi ad una musica stentorea e opprimente, idea avvincente. The spaceships of Ezekiel è una lunga cavalcata solcata da suoni spaziali, base di tutto il disco. 8 minuti. Segue Fata Morgana, 13 minuti di citazioni di Klaus Schulze (!) e dei Dead can dance sul corpaccione diun Doom zoppicante. Riesce meglio l'omonima, grazie ad un'impeccabile sezione ritmica;peccato per i richiami al Grunge. Altro brano interessante è The majestic clockwork, dove dopo un'introduzione granitica parte una marcetta guidata da batteria e violencello su cui si costruisce il suono complessivo del gruppo, base per uno straniante duello fra voce e musica, fino ad un lungo finale in accelerando. Sarebbe bello che una bella produzione aiutasse questo gruppo della terra dei Mabinogion. Con le sue idee potrebbe uscire fuori qualcosa di buono.                  
                                                                                                       Luca Volpe




lunedì 21 ottobre 2019

Mark Lanegan Band - "Somebody's Knocking"

Mark Lanegan Band - "Somebody's Knocking" (Heavenly Rec. - ottobre 2019)

Che Mark Lanegan ami la new wave è ormai noto. Già a partire da “Blues Funeral” del 2012 e proseguendo per i successivi “Phantom Radio” e “Gargoyle”  il suono dei sintetizzatori ha pian piano preso il sopravvento su quello delle chitarre ed i beat elettronici sostituito i drum-set acustici. Ma è con la nuova uscita “Somebody’s Knocking”  che l’innamoramento si fa palese. Il nuovo album è un inno al post-punk di matrice britannica, al sound dark-oriented anni ’80, un disco in cui i riverberi chitarristici della provincia americana hanno ceduto il posto ai bassi british carichi di chorus. 14 tracce cariche di elettronica in cui i sequenzer arpeggiatori fanno da tappeto alla voce, caustica e intensa come sempre, ma meno sofferente, quasi a dimostrare un raggiunta serenità dell’animo, una consapevolezza che traspare anche dai recenti video dei singoli pubblicati, nei quali Lanegan appare (dopo anni di assenza) divertito e appena sorridente.
Il disco è edito da Heavenly Rec  prodotto e mixato da Alain Johannes (polistrumentista Cileno-Americano - musicista collaboratore di QOTSA, Them Croocked Vultures, The Desert Session e artefice del capolavoro di C. Cornell “Euphoria Morning”).
Si apre con Disbelief Suspencion il brano più stoner del disco, chitarre riverberate e ritmo sincopato sui quali è sapientemente inserito un arpeggio di synth che sembra quello suonato da G. Moroder in I Feel Love di Donna Summer. Nella seguente Letter Never Sent il nostro non si sforza nemmeno di nascondere il suo tributo ai Joy Division con il fraseggio di tastiera che richiama Love Will Tear Us Apart. Echi di New Order si susseguono nelle sonorità di Night Flight To Kabul.
Dark Disco Jag è un freddo inno di dark sintetico con voce infernale e incorporea. Gazin From The Shore è la malinconia degli Psychedelic Furs su un giro di basso a’ la Fascination Street dei Cure. Stitch it Up, uno degli episodi più riusciti del disco, è il tipico pezzo tirato del miglior Lanegan. Con Playing Nero il nostro torna crooner su un tappeto di archi ma con quel basso che ci riporta suoi sentieri gothic-eighties. Penthouse High ci scaraventa di colpo nei club anni ’80 quando si ballava ancora senza pasticche. Con Paper Hat il cantato di dark/Mark torna su binari americani e al suo passato più riconoscibile. Così come con War Horse si torna ai fasti dell’album capolavoro che è Bubblegum.
“Somebody’s Knocking” è un disco che farà storcere il naso ai fan più intransigenti, a quelli che sbavano per una reunion degli Screaming Trees o a quelli legati al Lanegan acustico e sofferente o ancora a coloro che amano solo il suo lato infernale e dannato, ma per sua e nostra fortuna Mark è tutte queste cose insieme ma soprattutto è cambiamento, è voglia di sperimentare e cimentarsi in nuove esperienze musicali e finora c’è riuscito alla grande.
Cambiare restando sempre lo stesso cazzuto artista borderline non è da tutti.
                                                                     Nino   Colaianni



domenica 22 settembre 2019

Liam Gallagher - "Why Me? Why Not."

Liam Gallagher - "Why Me? Why Not." (Warner Records, 20 Settembre 2019)

Liam Gallagher è Liam Gallagher, da lui non possiamo aspettarci che faccia nulla di diverso da quello che ama e che ha sempre amato. “Why Me? Why Not.”, il secondo album solista dell’ex frontman degli Oasis, è una piena conferma di quello che di lui si è sempre detto: arrogante, diretto, un bad boy della periferia popolare di Manchester col cuore d’oro. Quarantasette anni non hanno cambiato di una virgola il suo mood, la sua attitudine. E questo nuovo disco è esattamente lo specchio del Liam che tutti conosciamo e che tantissimi amano. Già, perché se il fratello maggiore Noel ha avvertito la (legittima, beninteso) esigenza di provare qualcosa di nuovo, di sperimentare fra dance, elettronica, ritmi latini e tanto altro ancora con risultati che fanno discutere i fan più accaniti della coppia Gallagher-Gallagher, il buon Liam tira dritto per la sua strada. Puro brit-sound che spazia fra Beatles, Stones, Who e la cara lezione mancuniana che ha creato quei fertili presupposti per l’epopea degli Oasis negli anni ’90 e ’00. Appena messo il disco nel lettore parte Shockwave, un pezzo dal sapore brit-pop della prima ora: aggressivo, sporco ma mai dimentico di quel gusto melodico che ha fatto le fortune della famiglia Gallagher.

L’espressività di Liam in qualità di autore e non solo di interprete dei brani, che avevamo già intravisto nel precedente “As You Were”, adesso è un’epifania: la perfezione della voce risiede proprio in quel tono cantilenante che il Nostro ha ritrovato intraprendendo la carriera solista. Once è una ballad semiacustica che s’impone di diritto fra i pezzi più belli dell’epopea gallagheriana, capace di rivaleggiare con i grandi inni dei 90’s usciti dalla penna di Noel. Già, Noel… L’ombra del fratellone aleggia su Liam, che però stavolta sa servirsene con maestria: a lui (sostengono i bene informati) è dedicata One of Us, e l’ermeneutica più attendibile lascia intendere che i tre bambini che compaiono nel video siano proprio Liam, Noel e il fratello maggiore Paul (che fa il dj e che sovente segue Liam nei suoi spostamenti in tour).

Insomma, un duro dall'animo dolce: il più piccolo dei fratelli Gallagher affida a uno slancio di tenerezza quello che – a giudizio di chi scrive – è il brano più bello del disco. La ballata pop Now that I’ve Found You è, questa volta a esplicito dire dello stesso autore, dedicata a Molly, la figlia illegittima che Liam ebbe durante un tour in America al tempo degli Oasis e che di recente ha ritrovato e riconosciuto («Now that I’ve found you don’t go», recita il verso che chiude un ritornello accattivante).

Nel mezzo tante altre cose interessanti, a partire dal gusto pop-psichedelico di Meadow, passando per le sonorità più taglienti di Halo, l’incedere cadenzato di Be Still e della title-track, le orchestrazioni dal sapore beatlesiano di Alright Now (che ritroviamo anche fra i bonus con Gone e Glimmer) e la prepotenza di The River. La versione deluxe del disco propone, infine, il rock ‘n’ roll più duro di Invisible Sun e la dolcezza della ballata acustica Misunderstood.

Un disco pieno, di suoni e significati, una consacrazione per l’ormai ex ragazzaccio di Manchester, che fra una pinta di birra e una spacconata sa tirare fuori pezzi che lo innalzano nell’Olimpo delle ultime grandi rock star. Mani dietro la schiena, un guardaroba pieno di parka e scarpe da ginnastica: Liam Gallagher è sempre lui, e ogni volta è una (piacevole) sorpresa.

Liam Gallagher                                                                                           
                                                                                                     Riccardo Resta
                                                                                                     




sabato 21 settembre 2019

Shob - "Solide"

Shob - "Solide" (La Route Productions - Glass Onyon PR, 3 Maggio 2019)

Copertina in stile Deathspell omega; foto interna degna degli Amorphis; disco alla Gojira? Invece no. Questo “Solide” è il terzo lavoro di Shob, nome del progetto del bassista e chitarrista tedesco residente in Francia Geoffrey Neau. Come sempre s'avvale di un esercito di collaboratori per un lavoro che esce a distanza di un anno dal precedente “Karma Obscur”, e in esso viene suonata una Fusion che tenta strade nuove rispettose della gloriosa tradizione dello stile. Abbandonato quasi ogni elemento metal, espandendo il suono con sezioni di fiati, il musicista lascia sempre spazio agli altri strumenti e cerca di buttarsi a capofitto nella variante jazz funk del genere. Il risultato? Un mix. Lo spunto è (ovviamente) l'Herbie Hancock di “Headhunter” ma non i funamboli dello strumento come Miller e Clarke, anche se nell'insieme il disco gira dalle parti dell'armata Davis. Solide si apre infatti con Hostile, una canzone scandita ritmicamente da una chitarra molto leggera e dall'intenso dialogo fra la sezione ritmica e l'hammond; Primal Fear tenta un azzardato ma ben riuscito gioco d'incastri fra basso, chitarra, batteria e sezione fiati, notevole. Il tentativo riesce meno su Vertige, dove però si fanno apprezzare aperture melodiche della chitarra che vanno in cerca di territori. La noia fa capolino in Memoire, dove proprio il basso trascina verso il fastidio gli sforzi della chitarra di tessere una trama piacevole. Assai più divertente La Brèche, con tutti gli strumenti che concorrono a creare un clima saltellante.

Turbo Zulu è un brano dal basso minaccioso e dalle venature delle tastiere che ricordano le sonorità di Stevie Wonder. What now? prova invece il dialogo fusion fra gli anni ‘70 e ‘80 della fusion, esperimento interessante in cui però i secondi e anzi, il funky più cinematografico prende il sopravvento. Lo spettro del doo-wop s'aggira fra i rintocchi di note sparse di Totem e lo scratch usato come ariete per portare la canzone su lidi nuovi, ma sempre in bilico con il perdersi nella pretestuosità. La chiusura del disco è affidata alla godibile Dr. Gros Zozo, il brano migliore, in cui si palesa l'influenza dei migliori RHCP, quelli ironici e selvaggi di “Freaky Stiley”. A ben ascoltare è però Solide è il brano che Neau vorrebbe simbolo del disco  (e l'unico cantato) di questo strano lavoro: Célia Marissage domina la musica con il suo canto tardo soul e il suo rap dalla dizione rapida e stentorea, mentre il gruppo s'inerpica sugli anni ‘70 più accesi e di fatto si perde in un'atmosfera che con il canto non ha nulla a che vedere. Qual è il reale problema di questo disco? La produzione. Affidata in tutto ad un'unica persona (David Thiers), come accade spesso oggi ha assecondato il musicista pagante senza portarlo nella direzione a lui più consona. Shob è un progetto che nacque con strizzate d'occhio al metal tali da renderlo un crossover interessante. La volontà di sperimentare e sbalordire c'è, è però offuscata da una guida pressappochista che danneggia l'impatto sonoro, con scelte sui singoli strumenti poco condivisibili in molti frangenti. Per il resto Solide si lascia ascoltare e lascia aperte le porte a sviluppi promettenti, nel rock e non nel jazz.  

Shob           Ascolta  Solide
                                                                                                               Luca Volpe






giovedì 29 agosto 2019

Redd Kross - "Beyond The Door"

Redd Kross - “Beyond the Door” (Merge Records 23 agosto 2019)

I Redd Kross, padrini del bubblegum-rock sono tornati con un nuovo album a distanza di 7 anni dal precedente. La missione è sempre la stessa, e di questi tempi ancor più  necessaria, sollevarci lo spirito dalle storture quotidiane, rasserenarci l’anima con un po’ di sano power-pop. Il disco dal titolo “Beyond the door” contiene 11 tracce di tirato rock and roll di chiara matrice californiana, una celebrazione, immune da elucubrazioni mentali, di gioventù, corse in auto e feste in spiaggia. Melodie e dolcezza la fanno da padrona senza mai risultare banali. E’ questo il marchio di fabbrica dei fratelli McDonald, che per l’occasione si fanno accompagnare da due membri dei Melvins, alla batteria Dale Crover e alla chitarra Buzz Osborne ospite nel brano The Party Underground. Certo sono lontani i fasti di “Neurotica” e di “Phaseshifter”, qui i Redd Kross non rischiano ma si abbandonano indolenti al loro clichè conservato in naftalina da decenni, in fondo che male c’è a sentirsi ragazzini a 50 anni. Le sonorità scelte per l’occasione invece sono adulte e fanno il paio con la produzione piuttosto mainstream, il risultato però è godibilissimo. La prima traccia “The Party” è una cover del tema musicale del film “Hollywood Party” con Peter Seller scritta da Henry Mancini, cosi come la conclusiva ”When Do I Get To Sing My Way” è una rivisitazione glam-rock di un pezzo elettro-dance degli Sparks a dimostrazione della passione dei nostri per la melodia a prescindere. Seguono la tiratissima “Fighting” e la titletrack “Beyond the Door” dove spicca un honky-tonk piano forse volutamente suonato con approssimazione. Con “Ice Cream (Strange and Pleasing”) si torna skaters adolescenti alla prima festa in spiaggia.  Si prosegue con la sequenza di accordi cacthy di “What’s A Boy To Do?” carica di reminescenze di Beatles degli esordi. La seguente “Jone Hoople” ci riporta pari pari nei solchi di “Neurotica” fra i quali non avrebbe affatto sfigurato. Nel totale i Redd Kross non deludono mai e sfornano un disco con cui tornare ragazzetti, e sognare il futuro con la testa fuori dal finestrino ed il vento fra i capelli.
                                                                                                          Nino Colaianni

What's A Boy To Do?                                              When Do I Get To Sing My Way



mercoledì 21 agosto 2019

Cinema - "Love & Mercy - The Life, Love and Genius of Brian Wilson"



"Love & Mercy - The Life, Love and Genius of Brian Wilson"  (2014, Bill Pohlad): con Paul Dano, John Cusack, Elizabeth Banks, Paul Giamatti - 121 Minuti

Non è mai troppo tardi per conoscere le opere notevoli di qualsiasi tipo, goderne pienamente e scriverne: alla bella distanza di cinque anni dalla sua uscita siamo riusciti a visionare il biopic "Love & Mercy - The Life, Love and Genius of Brian Wilson", il film sulle sue vicende artistiche ed esistenziali (con i Beach Boys negli anni '60 e sui suoi noti problemi psichici da adulto, a cavallo tra i '70 e gli '80) del 2014 diretto da Bill Pohlad (prodotto da Lionsgate, Roadside Attractions e dal regista), proiettato negli Stati Uniti nel 2015, distribuito e proiettato in Italia nel 2016 con il brutto titolo "Tutto per la musica". La ghiotta colonna sonora, "Music from Love & Mercy" curata da Atticus Ross, è uscita nel 2015.
Sulla locandina della pellicola uno stralcio del Washington Post recita: "Straordinario, visionario, brillantezza nella brillantezza. Paul Dano e John Cusack sono mesmerici in una innovativa doppia interpretazione come Brian Wilson". Come non condividere con grande entusiasmo, dopo aver visionato il biopic, queste parole sulle due performances dei suddetti attori? Dano sprigiona carisma e passione nel rivisitare il Brian Wilson dei '60 (delle due, per la cronaca, l'interpretazione preferita dall'artista), Cusack è cupo e deprimente, e in un primo momento non convince appieno, quasi un alieno rispetto al contesto. Ma alla fine i due attori si integrano alla perfezione, il regista Bill Pohlad riesce a saldare bene due fasi esistenziali apparentemente distanti tra loro. Ottima anche l'interpretazione di Paul Giamatti dell'ossessivo psichiatra Eugene Landy (il vero perno 'negativo' su cui gira il film) e quella di Elizabeth Banks di Melinda Ledbetter, seconda amorevole e comprensiva moglie di Wilson, decisiva nella rinascita umana e psicologica del grande compositore.

Alla fine del film si rimane ancora stupiti (come tantissime, imprecisate altre volte in passato) e affascinati, quasi storditi, dalle monumentali creatività e qualità melodica della produzione musicale dell'artista americano, che in questa fase della sua vita non sta attraversando un momento facile: ritiratosi a vita privata dalle sue imminenti incombenze 'live' è ripiombato parzialmente in quei disturbi di personalità che hanno devastato la sua giovinezza, e che nel film sono narrati con potente respiro cinematografico, con un costante e indovinato salto temporale da un decennio ad un altro. Ora è davvero tempo - pensiamo - per questo 'genio' settantasettenne di riposarsi, vivere di rendita e capitalizzare il suo incommensurabile curriculum, dopo aver dato tanto al patrimonio musicale del XX° e del XXI° secolo. "Love & Mercy - The Life, Love and Genius of Brian Wilson" è un affresco sentito e appassionato dell'arte immortale del musicista californiano, autore di capolavori (pochissimo imparentati con il rock, molto con il pop e tantissimo con una nuova inclassificabile musica classica toccasana per l'anima) senza tempo soprattutto del ventesimo secolo, non solo come Good Vibrations, God Only Knows, "Pet Sounds" e "Smile" ma di tantissimi altri. Una pellicola da vedere assolutamente, fondamentale per i fans di Brian Wilson, anche se non è la prima volta che il grande schermo omaggia lui e i Beach Boys.  --- Si legge generosamente - per chi ne avesse voglia - della produzione musicale terzo millennio di Brian Wilson, da pagina 160 a 167 del mio libro "Distorsioni Sonore del Terzo Millennio", uscito ad Aprile 2019 per Falvision Editore.
                                                                                              Pasquale Boffoli  







lunedì 12 agosto 2019

Speciale - Misty Lane/Teen Records 2018-2019 - Prima Parte: Circles End Vol.1, Twink

-- Circles End vol.118 Dutch Folk Pop Dreams 1968-1973
    Misty Lane Rec., vinile limited edition 500 copie, 13 Settembre 2018
-- Twink  – 10,000 Words In A Cardboard Box / Geraldine
    Misty Lane Rec., single 45 giri limited edition 300 copie, 1 Gennaio 2019


Alla fondamentale e ormai decana etichetta italiana Misty Lane e alla sua consorella Teen Records, specializzate dal 1989 in pubblicazioni italiane ed internazionali di musica garage-beat-psichedelica-sixties revival e molto altro sono dedicate ben dodici pagine del mio libro "Distorsioni Sonore Del Terzo Millennio", attraverso due interviste (del 2003 e del 2018) al loro fondatore e artefice di sempre Massimo del Pozzo. In questo speciale sono trattate proprio alcune tra le novità annunciate da Massimo per il 2018 e il 2019 in quella seconda intervista. 

"Circles End vol.118 Dutch Folk Pop Dreams 1968-1973" è un gioiello in vinile che rappresenta una delle punte di diamante qualitative in assoluto dell'etichetta Misty Lane di cui ricorrono trent'anni: un modo egregio per festeggiarli, anche se anticipatamente nel 2018. ---- Mike'n'Ernie, co-produttore e collaboratore della Misty Lane da sempre per questo tipo di compilation ha selezionato con la sua solita perizia diciotto titoli a 45 giri pescati in una vastissima e rara produzione olandese tra fine anni '60 e primi '70, a cavallo musicalmente con candore e raffinatezza impagabili tra folk, pop e delizie psichedeliche.  
Artisti e band di nicchia che il tempo trascorso ha ormai decantato, che senza operazioni di questo tipo sarebbero fatalmente rimasti a languire in un implacabile dimenticatoio. I brani oscillano tra fascinazioni pop più ortodosse (Justice, Lloyd Watson, Judith Angela, The Marigold, Jumbo, Richard Neal), leggiadre incantevoli gemme folk (Prince John, Linda Christine, Alderman, Alligator, Kenney & Pete, Opus, Amsterdam, Jon Wyce), e piccoli manufatti che superando in qualche caso la soglia dei quattro minuti (Double You) riescono magicamente a mixare folk e pop con uno mood lisergico naif e un insorgente (in quei primi anni '70) prog ancora basico (Fon Klement, Mystical Brothehood, Dutch Spring). 
Dettagliate e preziose le liner notes di Erik Meinen sui 45 giri  di provenienza dei brani e gli esecutori (un esauriente foglio interno al vinile), tutte le copertine originali riportate, delizioso e azzeccato come sempre l'artwork di Alessandra Monoriti. Diciotto vecchi 'sogni' musicali perduti dalla terra dei tulipani e dei mulini a vento tirati fuori dai cassetti, sarebbe davvero un peccato mancare a questo appuntamento: uno dei 500 vinili di questa sopraffina limited edition aspetta di far parte della vostra collezione, se apprezzate la musica di grande qualità non ve ne pentirete.
                                                                                           Pasquale Boffoli
Circles End vol.118 Dutch Folk Pop Dreams 1968-1973


Ancora un grande ripescaggio su vinile per la Misty Lane da un glorioso passato psichedelico britannico: 10,000 Words In a Cardboard Box, uno degli epici e più appassionanti episodi contenuti nel leggendario e anarchicamente potente documento sonoro "Think Pink" inciso dal mitico batterista, lead singer e songwriter della scena underground-garage inglese John Charles Alder (Twink) nel 1970. In questo caso parliamo di una intensa versione incisa dall'artista nel 1999 a Los Angeles con backing band gli Smallstone, tra gli animatori della scena rock losangelina di quegli anni. 
Sulla facciata B del 45 giri Geraldine, una rara, delicata, leggiadra ballata incisa e cantata nel 1968 da Douglas Robert Ord aka Dane Stevens (in arte Zion De Gallier) dei Fairies, band anglosassone beat/r&b in attività dal 1964 al 1966 in cui Twink suonava la batteria. Anche Geraldine è davvero una perla di pop barocco per irriducibili cultori. Chi voglia sapere di più sul passato e presente del personaggio e artista Twink può leggere la bellissima intervista che Carlo Bordone gli ha fatto su carta nel libro da me curato "Distorsioni Sonore Del Terzo Millennio", edito da Falvision Editore nell'aprile 2019. A tutti è raccomandato incondizionatamente di riascoltare o 'scoprire' a quasi cinquanta anni dal suo concepimento un capolavoro senza tempo come "Think Pink".
                                                                             Pasquale Boffoli        
Think Pink recensione su Distorsioni Blogspot       Ascolta  Twink    Think Pink 
                                                                   
        
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Mammoth weed wizard bastard - "Yn ol i Annwn"

Mammoth weed wizard bastard - "Yn ol i Annwn " (New heavy sounds - marzo 2019) Disastri della critica: stroncato o elogiato, Y...