Shob - "Solide" (La Route Productions - Glass Onyon PR, 3 Maggio 2019)
Copertina in stile Deathspell omega; foto interna degna degli
Amorphis; disco alla Gojira? Invece no. Questo “Solide” è il terzo lavoro di Shob,
nome del progetto del bassista e chitarrista tedesco residente in Francia Geoffrey Neau. Come sempre s'avvale di
un esercito di collaboratori per un lavoro che esce a distanza di un anno dal
precedente “Karma Obscur”, e in esso
viene suonata una Fusion che tenta
strade nuove rispettose della gloriosa tradizione dello stile. Abbandonato
quasi ogni elemento metal, espandendo il suono con sezioni di fiati, il
musicista lascia sempre spazio agli altri strumenti e cerca di buttarsi a
capofitto nella variante jazz funk del genere. Il risultato? Un mix. Lo spunto
è (ovviamente) l'Herbie Hancock di “Headhunter”
ma non i funamboli dello strumento come Miller e Clarke, anche se nell'insieme
il disco gira dalle parti dell'armata Davis. Solide si apre infatti con Hostile, una canzone scandita ritmicamente
da una chitarra molto leggera e dall'intenso dialogo fra la sezione ritmica e
l'hammond; Primal Fear tenta un
azzardato ma ben riuscito gioco d'incastri fra basso, chitarra, batteria e
sezione fiati, notevole. Il tentativo riesce meno su Vertige, dove però si fanno apprezzare aperture melodiche della
chitarra che vanno in cerca di territori. La noia fa capolino in Memoire, dove proprio il basso trascina
verso il fastidio gli sforzi della chitarra di tessere una trama piacevole.
Assai più divertente La Brèche, con
tutti gli strumenti che concorrono a creare un clima saltellante.
Turbo Zulu è un
brano dal basso minaccioso e dalle venature delle tastiere che ricordano le
sonorità di Stevie Wonder. What now?
prova invece il dialogo fusion fra gli anni ‘70 e ‘80 della fusion, esperimento
interessante in cui però i secondi e anzi, il funky più cinematografico prende
il sopravvento. Lo spettro del doo-wop s'aggira fra i rintocchi di note sparse
di Totem e lo scratch usato come
ariete per portare la canzone su lidi nuovi, ma sempre in bilico con il
perdersi nella pretestuosità. La chiusura del disco è affidata alla godibile Dr. Gros Zozo, il brano migliore, in cui
si palesa l'influenza dei migliori RHCP, quelli ironici e selvaggi di “Freaky Stiley”. A ben ascoltare è però Solide è il brano che Neau vorrebbe
simbolo del disco (e l'unico cantato) di
questo strano lavoro: Célia Marissage
domina la musica con il suo canto tardo soul e il suo rap dalla dizione rapida
e stentorea, mentre il gruppo s'inerpica sugli anni ‘70 più accesi e di fatto
si perde in un'atmosfera che con il canto non ha nulla a che vedere. Qual è il
reale problema di questo disco? La produzione. Affidata in tutto ad un'unica persona (David Thiers), come accade spesso oggi
ha assecondato il musicista pagante senza portarlo nella direzione a lui più
consona. Shob è un progetto che nacque con strizzate d'occhio al metal tali da
renderlo un crossover interessante. La volontà di sperimentare e sbalordire c'è, è però offuscata
da una guida pressappochista che danneggia l'impatto sonoro, con scelte sui
singoli strumenti poco condivisibili in molti frangenti. Per il resto Solide si lascia ascoltare e lascia aperte le
porte a sviluppi promettenti, nel rock e non nel jazz.
Luca Volpe
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